Tu
sei la personalità più autorevole tra quelle che hanno dato la loro adesione al
partito di Grillo. Dico il partito di Grillo perché tecnicamente di questo si
tratta. Inutile far ricorso
a complicati giri di parole, lo sappiamo tutti, il
partito è di Grillo, il partito è Grillo. Movimento è una bella parola, una
parola che ci seduce, ma le belle parole da sole non fanno le cose, altrimenti
a Kim Yong-un basterebbe chiamare Woodstockland la Corea del Nord per sostenere
che sia diventata la nuova frontiera dell’amore.
Non
ho intenzione di chiederti di scendere dal palco, per il semplice motivo che è
una scelta che riguarda te, e dunque valuterai tu se e quando e come scendere. Vorrei,
piuttosto, capire.
Non
escludo che il partito di Grillo possa rappresentare per l’Italia un radioso
avvenire, non escludo nulla, eppure
non arrivo a concepire un’espulsione notificata con la lettera di un avvocato,
non concepisco le direttive diffuse da uno staff, non concepisco come si possa
fare politica in uno spazio privato. Ecco, il possesso esclusivo dello spazio
politico mi sembra inconciliabile non solo con l’idea di politica di un uomo di
sinistra, ma con l’idea di politica tout
court, e appunto per ciò a me come a tanti altri è sembrata un’aberrazione
il partito padronale di Berlusconi.
Può
pure darsi che Grillo, come tu hai detto, sia di sinistra, forse a sua
insaputa, visto che lui si ostina a negare tale ascendenza. Ma non è una
questione di idee. Potrebbero essere (e forse lo sono pure) le idee migliori
del mondo, e potrebbe essere pure Gesù Cristo in persona a portale avanti (questo è un po’ più
difficile che lo sia), ma prima delle idee viene
qualcos’altro. Non dirò le regole, che è una parola che spesso si presta a volte a fare
il gioco del più forte, bensì i modi, la sensibilità. Mi spiego meglio: può
essere credibile un maestro che insegna belle idee - tolleranza e rispetto per
gli altri, per esempio - a colpi di bacchetta sul dorso delle mani?
Capisco
la rabbia provocata da una crisi che in realtà non è crisi ma sistema, capisco
la rabbia, ma non il livore, e mi domando quale società migliore possa nascere
da un linguaggio che gronda violenza e morte. Quanta rabbia doveva esserci in
India dopo un secolo di dispotismo inglese, eppure l’interprete migliore di
quella rabbia fu Gandhi.
Ecco,
allora, quello che vorrei capire. Tu hai saputo dare voce alla rabbia col tono giocoso della poesia e hai saputo
scalfire l’ottusità del potere con la forza dissacrante dell’ironia. E dunque,
non ti fa senso questo urlo scomposto? Non ti inquieta la cecità di questo pensiero
unico?
Cosa
pensi, anzi, dico meglio, cosa provi davanti a sparate come “cosa faresti in
auto con la Boldrini”? O davanti ai libri sfiorati dalle fiamme? Agli
intellettuali vilipesi sul blog? Veramente ti sembra che si possa intravedere
qualcosa di pur lontanamente francescano in questi atteggiamenti?
Io
ne dubito, e appunto perché ne dubito non capisco le tue affermazioni vaghe su questi
fatti. Anche
perché, guardandoti su quel palco, forte è la sensazione di vedere un corpo
estraneo. Mi sembra che ti tengano come il parvenu tiene un quadro di valore
nel salone, perché gli hanno detto che è di un grande pittore, ma in fondo
senza capirlo. E può darsi pure che tu non abbia capito bene loro.
Ma
sgombrare il campo da ogni equivoco è facile. Tu, che della satira sei maestro,
fai una prova del nove, poiché niente meglio della satira aiuta a capire se il
re è o non è nudo. Dedica un quadretto satirico a questa famiglia, un piccolo mistero buffo a cinque stelle. Se si
limitano a ridere, o anche solo a sorridere, beh, allora non c’è proprio niente
che non va. Vuol dire che queste brevi riflessioni nascono da un’errata
percezione delle cose, come a volte succede.
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