Finché
ha potuto, Grillo ha provato la “strategia Casini”, stare cioè con un piede in
due scarpe. Se quello pensava di dirigere il traffico occupando il centro, Grillo si era accaparrato l’oltre.
Non
l’oltretomba, come qualcuno aveva erroneamente creduto a furia di sentir parlare
di morti e di zombi. Solo l’oltre. La qual cosa se comunque in concreto non
significava niente, offriva il vantaggio di poter accogliere chiunque senza
tanti imbarazzi.
Dopo
le elezioni ha però capito che il bacino in cui pescare a sinistra si è
pericolosamente ridotto, e semmai c’è il rischio di trasformarsi da pescatori
in area di pesca per gli altri. Con un PD al 40% e una lista di sinistra
comunque viva e combattiva, non è rimasto molto da raccogliere.
Nello
stesso tempo ha constatato come continui l’erosione del consenso berlusconiano,
senza che altre forze politiche appaiano per il momento in grado di
appropriarsene. Dopo essere rimasto a lungo in agguato su entrambi i fronti, il
comico-politico ha deciso di puntare su quello che obiettivamente appare oggi
il più sguarnito e quindi il più conquistabile. Pazienza se perde qualche altro
voto tra i propri elettori con simpatie di sinistra, che non ne saranno rimasti
molti, la speranza è di prenderne molti di più tra quelli in libera uscita
dall’altra parte.
Per
questo motivo, a mio parere, l’alleanza con Farage non va letta tanto e solo nel
quadro europeo, ma piuttosto come una tappa nella strategia di riposizionamento
sulla scena nazionale. Consapevole di non essere risultato credibile come
leader di sinistra, ci prova con la destra. Con tutte le incognite del caso,
essendo stato quello dell’elettore berlusconiano un atto di fede ancor prima di un voto politico, e rimpiazzare una religione con un'altra non è impresa di facile realizzazione.
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