C’è qualcosa
di socratico nel percorso umano di Scajola. La storia della casa non può essere
considerata un evento accidentale. Da quanto emerge dai verbali degli
interrogatori è tutta la sua vita
a essere stata vissuta a sua insaputa. Scajola
sa solo di non sapere. Non si spiega nemmeno il linguaggio criptico che lui
stesso adottava al telefono. A domanda del magistrato risponde: “boh”. L’unica
certezza che alla fine si sente di esprimere, approdo ultimo della sua
filosofia, è di aver fatto un “gran casino”. Ma di questo ce n’eravamo già
accorti.
Alla luce di
tutto ciò, semmai, viene da porsi la domanda se gli avvocati che lo difendono
si siano consultati con il loro assistito oppure abbiano agito senza informarlo.
È tutt’altro
che scontato, infatti, che gli arresti domiciliari siano per lui preferibili
alla detenzione in carcere e non è del tutto remota la possibilità di leggere domani
una di quelle notizie nelle quali il detenuto stesso chiede di essere riportato
in prigione.
Intanto a
casa troverà la moglie, suo malgrado coinvolta in questa
concatenazione di eventi che accadono all’insaputa dell’interessato, la quale non gli
farà una grande accoglienza. Sempre che non abbia alcuna somiglianza con la
moglie del Socrate originale, altrimenti potrebbe temere anche peggio.
A casa inoltre
dovrà tornare a occuparsi degli affari propri, cosa per la quale, come da lui
stesso ammesso, non è affatto portato e che quindi dev’essere per lui una
specie di sacrificio, senza contare il rischio di cacciarsi in altri guai.
Laddove in
carcere avrebbe potuto proficuamente approfondire la sua ricerca filosofica, e al
massimo imbattersi in qualche buontempone che, dopo le varie dame
bionde, lo promuovesse affettuosamente da sciaboletta a sciabolone.
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