Ci si poteva immaginare che la riforma del senato si bloccasse nel momento
in cui qualcuno ha pronunciato la parola “autorevole”. Un conto è trovare cento
senatori, ben altro trovarne
cento autorevoli. Se poi novantacinque devono
provenire dagli enti locali, si entra nel campo dei rompicapo matematici.
Invece, a sorpresa, il progetto si incaglia sulla proposta di immunità
approvata in commissione, episodio che subito dopo assume i contorni del
giallo.
I principali indiziati, come succede in ogni giallo, sono quelli che stanno
sulla scena del delitto. Il primo è Calderoli. Non si tratta di un caso di
omonimia. È lo stesso padre del porcellum. In qualche esistenza
precedente deve per forza aver acquistato enormi meriti, per essere ancora agli affari costituzionali nonostante la sua precedente creatura. Ma lui dice addirittura di essere
favorevole all'abolizione dell’immunità anche per i deputati, e allora
bisognerebbe pensare che non sappia quello che dice, la qual cosa, di
Calderoli, è ovviamente l’ultima che si possa pensare.
La seconda indiziata, la Finocchiaro, non se ne spiega l’origine. Dichiara
di essersela trovata lì e, evidentemente, non si è posta il problema di dove
provenisse e a cosa servisse. Per sua fortuna non si trattava di una bomba a
mano. All'interno del suo partito e nel governo, nessuno ne sa nulla. Qualcuno addirittura
non si è ancora fatto un’idea in proposito, aspettando forse di vedere il nuovo senato
funzionante prima di decidere se gli piace o se chiedere subito di farne un altro.
Ci sarebbe poi la pattuglia di Forza Italia, i cui componenti però
dichiarano di essere contrari all'immunità. In teoria sarebbero credibili,
anche perché dispongono di un buon alibi. Essendo tutti in carcere, non si
capisce a che cosa dovrebbe servirgli.
Poiché, dunque, se qualcuno avesse apportato questa
modifica lo saprebbe, si fa strada l’ipotesi che ci possa essere dietro lo
zampino di Scajola.
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