A leggere i resoconti del viaggio in
Corea del Nord di Razzi e Salvini, viene da ridere e da piangere allo stesso
tempo. Da ridere, perché la performance supera quella di Totò e Peppino,
per
eguagliare il Peter Sellers di Oltre il
giardino; da piangere, perché Razzi e Salvini tornano in Italia, dove uno
sta in parlamento e l’altro addirittura si candida a guidare il futuro
centrodestra.
Ho visitato la Corea del Nord nella
primavera del 2008. Il paese veniva da un inverno particolarmente rigido (le
temperature scendono abitualmente sotto i meno dieci), che, associato alla
cronica penuria di generi alimentari, aveva mietuto decine di migliaia di
vittime. Un funzionario della cooperazione italiana mi raccontava che negli
ospedali mancava tutto, anche il riscaldamento, e i degenti e i neonati soprattutto
morivano per il freddo.
Ovviamente all’interno del paese non
ci si può spostare da soli. Bisogna essere sempre accompagnati da una “guida”,
cioè un funzionario del governo, che vi accompagna (e vi sorveglia) lungo
itinerari prestabiliti. Scattare foto al
di fuori dei siti turistici o durante gli spostamenti dall’autobus è proibito,
e all’uscita del paese anche le macchine fotografiche vengono controllate.
Pyongyang, la capitale, è la città
vetrina, nonché riservata alla nomenklatura. Ha ragione in questo senso Salvini
a dire che il senso della comunità è molto forte. Non se ne sarà reso conto, ma
stava visitando una specie di grande caserma. La Corea del Nord è infatti un’oligarchia
militare. A fronte di condizioni di vita assimilabili ai più poveri paesi
africani, ha uno degli eserciti più grandi al mondo e, in rapporto al numero di
abitanti, di gran lunga il più grande.
Ben diverso è il resto del paese. La
città di Kaesong, per esempio, poco distante il confine con la Corea del Sud, una città di più di duecentomila abitanti, offre al visitatore un paesaggio lunare. Palazzoni
in stile sovietico in rovina, come se avessero subito dei bombardamenti.
Vialoni grandi e deserti. Gigantografie del Grande Leader e del Caro Leader ovunque. Ogni tanto un autobus sgangherato o qualche
fuoristrada nuovissimo guidato da militari. E nient’altro. Né biciclette né persone.
La gente si intravedeva nascosta
dietro i muretti cadenti che delimitano il terreno intorno ai palazzi. Osservavano
incuriositi il pullman dei turisti. La cosa che colpiva maggiormente era la
paura che si leggeva nei loro sguardi. Per il resto, un militare all’angolo di
ogni strada. Anche fuori dai centri abitati si vedevano soldati presidiare in solitudine
l’inizio di ogni sentiero di campagna.
Probabilmente nessun altro posto al
mondo da l’idea di un salto nel tempo come attraversare i due chilometri di
zona demilitarizzata al 38° parallelo, che segna il confine tra le due Coree.
Al sud un paesaggio come si può vedere in Giappone o negli USA; al nord
contadini perduti in lontananza dietro l’aratro tirato da bufali e casupole di fango.
In Corea del Sud circola la battuta
che lungo la zona demilitarizzata, dove i due eserciti si osservano coi binocoli, i
nordcoreani schierano i soldati più grossi, per dimostrare che non patiscono la
fame, mentre i sudcoreani i più minacciosi, per dimostrare che non hanno paura
di combattere.
Queste e tante altre cose (come campi di concentramento, scuole, campagne, ecc.) i due Peter Sellers in missione non le hanno viste. Quanto al fare “l’esperienza impagabile” di stare senza internet e senza cellulare, che,
dice Salvini, “da sola vale in viaggio”, non c’era bisogno di andare così
lontano. Bastava disconnettersi.
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